Come si diventa “Caregiver aziendali” per aiutare i colleghi fragili

Si chiamano Caregiver Aziendali. Sono le persone che si prendono cura di un collega che all’improvviso si ammala (di una malattia fisica o psichica), che vive un momento di difficoltà, o che rientra al lavoro dopo un lutto o un percorso familiare-genitoriale complicato. Sono manager, collaboratori, impiegati, consulenti: si trovano nel mezzo di una circostanza, e non possono far finta di non vedere che chi è seduto al loro fianco sta male. Spesso diventano caregiver involontariamente, esattamente come i familiari di un bambino o di un adulto fragili.

Per conoscere meglio questa figura che sempre di più sta prendendo piede anche in conseguenza della pandemia, abbiamo incontrato Laura Sinatra, coach, trainer, CEO e fondatrice della società di consulenza Eapitalia World, che promuove l’Employee assistance program, il programma di assistenza per i dipendenti nei momenti di crisi aziendali.

«Il nome Caregiver Aziendale – spiega – non esisteva prima ed è una definizione che ho trovato io nel tempo, dopo aver incontrato e aiutato, in molti anni di esperienza, parecchie persone che si sono trovate spiazzate, impreparate, spesso smarrite quando si sono dovute relazionare con un collega che soffriva, che piangeva davanti al pc, che singhiozzava in bagno, che si ammalava frequentemente».
Con il tempo Sinatra ha notato che la loro traiettoria personale e professionale aveva in comune un aspetto: «Quasi tutti, con gradazioni e coinvolgimenti diversi, vengono spesso lasciati soli non per cattiveria o indifferenza, ma per paura o incapacità di affrontare argomenti delicati. Spesso per entrambi i motivi».

L’esempio di Roberto, impreparato alla malattia

Sinatra racconta l’esperienza di Roberto P., un manager del settore finanziario. «Roberto sapeva  che la sua collaboratrice Maria aveva ricevuto una brutta diagnosi, ma non aveva informazioni più circostanziate.

La vedeva spesso in difficoltà. In certi momenti avrebbe voluto parlare con lei, oppure con i medici, per capire cosa le stesse succedendo e per farsi suggerire come comportarsi e supportarla quando lei mostrava segni di stanchezza, confusione, vulnerabilità, fragilità. Ma non poteva farlo: non solo per privacy, ma anche perché non era convinto che fosse una buona idea. Per molto tempo, fino a quando Maria non si è aggravata, Roberto ha proceduto per tentativi, ma i risultati sono stati scarsi».

Quando  ha tentato di essere “empatico”  ha raccolto rispostacce, quando ha promosso iniziative di gruppo, non è andata come desiderava, quando ha spinto sui progetti sfidanti si è reso conto che il morale era basso. In pratica, prosegue l’esperta, per due anni Roberto è rimasto solo con la sua responsabilità senza sapere bene in che modo e in che misura prendersi cura di Maria, e senza sapere come coordinare il team, come distribuire i carichi di lavoro e  gestire l’alternanza di momenti di pseudo normalità, a quelli di disperazione o speranza.

«In azienda si aspettavano tutti che Roberto gestisse la situazione e le persone coinvolte. Si aspettavano che lui fosse capace di prendersi cura di Maria. «Ma lui, come capo, non aveva assolutamente idea di come fare». E forse, sottolinea Sinatra, la cosa peggiore era che «non sapeva nemmeno a chi chiedere aiuto e che tipo di aiuto aspettarsi».

Si diventa Caregiver Aziendali quasi per caso

Ecco, spiega l’esperta, «la mia esperienza professionale mi porta a dire che spesso si diventa Caregiver Aziendali per caso. Perché ci si ritrova in una condizione lavorativa e relazionale che non è stata realmente prevista, per la quale non si ha un protocollo o una procedura da applicare come il piano di evacuazione incendio. Ci si ritrova in mezzo e si fa quello che si può, con le risorse che si hanno (personali o aziendali se ci sono). Sostanzialmente improvvisando». Ma non sempre si riesce a fare bene. E soprattutto, talvolta, «la fatica è molto difficile da sostenere, dal punto di vista emotivo, fisico e lavorativo».

Il problema, sottolinea, è che le aziende difficilmente prevengono. «Ci si rende conto di avere bisogno di un approccio sistemico quando ci si trova in mezzo». Soprattutto in Italia, «si tende ad essere un po’ fatalisti». E infatti, evidenzia, «proprio come i caregiver “tradizionali”, anche quelli “aziendali”, faticano in solitudine e vivono momenti di sconforto, demotivazione, incertezza, forte stress».

Cosa potrebbero fare le aziende?

«Prima di tutto è importante sollecitare le persone a per dare un nome alle cose», spiega. «Talvolta è sufficiente accompagnarli, altre volte occorre proprio insegnarglielo ex novo, perché magari manca proprio l’abitudine, la consuetudine  a parlare di argomenti dolorosi, a scandagliare emozioni, stati d’animo, segnali del corpo, e viene più facile ricacciarsi tutto in gola».

Ma soprattutto, chiarisce, «nessuno dovrebbe rimanere solo. Un solido programma di assistenza ai dipendenti (EAP) in questo senso è tradizionalmente la risorsa più valida e qualificata: interviene nelle criticità, sa pensare in modo consulenziale e sistemico insieme all’azienda, e sta nella regia accompagnando risorse umane, manager e dipendenti, coinvolgendoli in iniziative che destigmatizzano la malattia, la salute mentale, le disabilità».

«Queste circostanze capitano da sempre. Ma da quando è scoppiata la pandemia – racconta Sinatra – le aziende ci chiedono di  intervenire più frequentemente. È come se questo momento che è stato parecchio drammatico ci avesse in qualche modo autorizzato a non nascondere più le fragilità».
Ma non solo, dice. «Infatti è come se le aziende si stessero progressivamente accorgendo che se non ci fosse il contributo, l’impegno, la passione e l’etica dei Caregiver Aziendali, l’ambiente lavorativo sarebbe meno inclusivo, forte e “sano”.

Perché, conclude, «una organizzazione che abbandona a se stesso chi è fragile perde la sua anima e i suoi valori. Un ambiente di lavoro che ignora le vulnerabilità paradossalmente ne crea altre, si indebolisce, e finisce per creare una organizzazione tossica e disfunzionale, basata sull’evitamento. Un ambiente organizzativo che evita i momenti di crisi non è un ambiente psicologicamente sicuro, e genera ulteriore stress, demotivazione, errori e turnover».

Il welfare che guarda all’assistenza psicologica e alla formazione

La pandemia da Covid-19 ha fatto emergere quanto il benessere psicologico sia importante e impattante anche sul lavoro. Per questo Eapitalia World, società da sempre attenta ai temi del welfare aziendale, attraverso un team di esperti che comprende consulenti, psicologi, coach e formatori, supporta i dipendenti delle imprese nel migliorare il proprio equilibrio tra vita privata e lavoro. Lo racconta Laura Sinatra, amministratore delegato e partner di Eapitalia World, coach e trainer.

Confrontando il periodo pre e post Covid, avete notato delle mutate esigenze da parte sia di aziende che di dipendenti per quanto guarda il benessere aziendale?

La pandemia da Covid-19 ha prepotentemente messo in luce la vulnerabilità di ciascuno di noi a un virus sconosciuto e inatteso, facendo sì che qualcosa di invisibile ai nostri occhi soverchiasse le abitudini e le certezze più consolidate. La pandemia non ha, però, creato l’esigenza del welfare aziendale – poiché questa lettura negherebbe importanza a tutti quei vissuti personali di vulnerabilità e malessere precedenti al Covid – ma ha mostrato con la chiarezza e l’efficacia dei grandi numeri (in termini di richiesta di supporto) quanto il corretto svolgimento della propria attività professionale richieda di non concepire la dimensione lavorativa come una dimensione a sé stante.

 

Attualmente quali sono i vostri servizi più richiesti?

Eapitalia World lavora con le imprese su più fronti fornendo:

  1. una helpline, cioè una linea telefonica attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno, attiva per i dipendenti – e i loro familiari – per sessioni individuali di consulenza psicologica, relazionale e supporto ai manager
  2. sessioni in presenza o webinar – rivolte sia a manager, sia a dipendenti – che consentano momenti di formazione, condivisione e riflessione su tematiche inerenti al benessere lavorativo e psico-fisico, allo sviluppo di competenze adeguate per lo scenario ibrido che tutte le aziende stanno affrontando.

Sono più le grandi aziende o quelle medio-piccole a voler investire sul benessere dei lavoratori?

Tradizionalmente le grandi organizzazioni implementano piani di welfare strutturati e completi e contemplano, al loro interno, anche un programma di assistenza ai dipendenti. Tuttavia le scelte delle PMI hanno dimostrato – a più riprese – che anche queste realtà hanno sensibilità ed esigenze assolutamente similari ad organizzazioni numericamente più popolose. Infatti, proprio a seguito dell’emergenza sanitaria e dell’introduzione dello smart-working, anche le PMI hanno introdotto con determinazione e successo il loro EAP (programma di assistenza ai dipendenti), promuovendo una cultura aziendale orientata al benessere dei propri dipendenti. E’ in quest’ottica che Eapitalia ha proposto e continua a proporre progetti pilota che, attraverso l’aggregazione della domanda, consentano alle PMI di accedere a servizi di welfare avanzato a costi sostenibili.

Quale esigenze soddisfa un servizio di assistenza ai dipendenti?

Il servizio di assistenza ai dipendenti mira a valorizzare le risorse che ciascun dipendente porta come persona con la sua unicità, le sue complessità e soprattutto con le sue esigenze. Del resto un dipendente che vive una situazione familiare complessa, un dipendente malato o un dipendente che ha difficoltà a sintonizzarsi con il proprio team o il modo di lavorare ibrido, non sarà un dipendente sereno. Questa consapevolezza chiama le imprese a farsi carico del benessere dei propri dipendenti offrendo loro una risorsa per autodeterminarsi a prendersi cura di sé e delle proprie relazioni.

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La dura vita del lavoratore genitore

Neo-madri in crisi per il rientro al lavoro dopo un periodo di congedo, genitori in rotta per la gestione dei figli, caregiver afflitti dai sensi di colpa per un impiego che li porta lontano dai parenti anziani bisognosi di cure. Le problematiche della conciliazione lavoro-famiglia sono anche psicologiche. Ad aiutare ad affrontarle sono i Programmi di Assistenza ai Dipendenti offerti da realtà come Eapitalia, con servizi di Helpline, attivi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno

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I Territori dell’autonomia – Conversazioni Online

Ieri abbiamo conversato online con @Laura Sinatra @Lucilla Mazzucchelli e @Valentina Ragusa di genitorialità, richieste di autonomia, di emozioni, di limiti e confini.
Bambini e ragazzi mettono a dura prova i genitori nella frenetica quotidianità, dove il tempo non basta mai e la calma per impostare delle conversazioni sane sembra un’utopia. Eppure dobbiamo prenderci il tempo per normalizzare le emozioni che i nostri bambini e ragazzi ci portano, anche se è faticoso, anche se a volte ci fa provare vergogna. Teniamo gli occhi aperti, osserviamo attentamente i segnali che ci inviano, concediamoci di vivere i momenti di bufera e di contrasto nella relazione, consapevoli del fatto che – anche quando ci sentiamo incapaci, confusi, disorientati – valga sempre la pena farci delle domande, offrire la nostra disponibilità al dialogo, allearci con le competenze dei nostri figli, imparare a fidarci di loro. Sbagliare è solo uno degli scenari possibili: non facciamocene una colpa. Anzi, impariamo anche a chiedere aiuto #eap (Programma di Assistenza ai dipendenti).

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